Se un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, come sosteneva Italo Calvino; di un classico bisogna parlare e riparlare ancora perché richiamandolo alla memoria imprima in noi il senso universale delle nostre vite. Shakespeare, in particolare, è frutto di un’epoca di prosperità e tumultuosi cambiamenti, il regno di Elisabetta I, teatro delle contraddizioni che forgeranno l’uomo moderno.
E come tradizionale augurio natalizio, ma come come buon auspicio per l’anno appena cominciato, il prof. Paolo Bertinetti (Prof. Emerito di Letterature Inglese presso Unito, nonché Presidente del nostro Comitato Tecnico Scientifico), che si è occupato di teatro inglese e ha tradotto Hamlet, The Tempest e Macbeth per Einaudi, ci ha accompagnato nell’officina del genio per scoprire i segreti dell’ultimo grande creatore di miti, attraverso le pagine del suo ultimo saggio, edito da Utet, Shakespeare, creatore di miti.
Miti che superano le correnti gravitazionali e non invecchiano, se è vero che le agenzie della Repubblica Popolare Cinese, impegnate ad organizzare dei viaggi turistici nel nostro paese, indicano tre tappe del loro itinerario: il Colosseo a Roma, la Torre pendente a Pisa ed il balcone di Romeo e Giulietta, a Verona, malgrado quest’ultimo rappresenti un falso storico al pari della caverna di Batman a New York.
A ritmo del pentametro giambico, metro che esprime una straordinaria “naturalezza” poiché la cadenza è simile a quello del parlato di tutti i giorni, ci siamo avventurati nell’arena teatrale al di là dell’unico ponte esistente all’epoca, fuori della giurisdizione della City, per ascoltare i turbamenti di Amleto, la gelosia di Otello, divorato dal mostro dagli occhi verdi, annebbiato e violento fino al femminicidio; abbiamo indagato il cuore dei coniugi Macbeth, sorriso con il bugiardo e orgoglioso John Falstaff, discusso della “condition humaine” e dell’impossibilità drammatica di Shylock, così come scriveva Auerbach.
Cosa fa assumere valore a queste figure? Le parole che essi dicono, le battute dei personaggi; le parole creano la figura teatrale e la forza teatrale di queste figure è tale che si conserva anche in traduzione. Perché un testo teatrale vive nel momento della messa in scena, vive quando viene detto o recitato dagli attori per un pubblico di spettatori. È un testo scritto per essere rappresentato.
Infine, un ultimo appunto dedicato alla presunta paternità delle opere di Shakespeare, attorno a cui gravitano congetture e personalità molto varie: Roger Ma Bacone, il Conte di Oxford, John Florio, oppure l’italiano Crollalanza (Crolla=Shake, Lanza=Spear). Il Prof. Bertinetti è netto in proposito: l’autore è lui, William, anche attore e capocomico.