Il corso di Linguistica italiana ha ospitato il poeta marchigiano Luigi Socci, direttore artistico e organizzatore del festival di poesia “La Punta della Lingua” e dell’omonima collana per l’editore Italic Pequod; Socci collabora scrivendo di teatro con Il Messaggero e Il Resto del Carlino ed ha pubblicato le raccolte di poesia: Il rovescio del dolore (2013), Prevenzioni del tempo (2017) e Regie senza films (2020).
Per l’occasione il nostro ospite ha tenuto una breve lezione sulle forme linguistiche contemporanee e i nuovi procedimenti poetici a partire dall’esperienza del Gruppo 63, un’idea di Nanni Balestrini, ispiratosi al modello del tedesco Gruppo 47, che riuniva, tra gli altri, Ingebord Bachman, Hans Magnus Enzesberger e Gunter Grass. Al Gruppo 63 aderirono giovani brillanti, alcuni già noti, altri del tutto sconosciuti. Sotto l’egida di Luciano Anceschi, Professore di Estetica presso l’Università degli Studi di Bologna, il gruppo trovò ospitalità nella rivista «il Verri». Il Gruppo 63 fu un’aggregazione eterogenea, a cui tanti, negli anni, si avvicinarono o si allontanarono, a seconda del momento poetico e politico.
Un momento fertile anche nell’ambito della poesia concreta, in cui si sviluppano molti esperimenti combinatori e l’uso delle nuove tecnologie elettroniche, i primi computer, cui viene affidata l’elaborazioni di materiali poetici selezionati accortamente dagli autori: è questo il caso dello stesso Balestrini, tra i protagonisti di queste prime prove in particolare con Tape mark I e II. Tale ricerca si mescola col tempo a quella della musica elettronica, dando vita a varie sperimentazioni musicali, sonore e poetiche che si possono rintracciare in quasi tutti i continenti.
Oltre a ciò, gli esperimenti formali della neoavanguardia fanno uso del pluringuismo, poiché la poesia non è altro che un viaggio nella lingua e nelle lingue ed è capace di attraversare i confini per aprirsi in aperto colloquio con il resto del mondo. L’excursus è giunto al contemporaneo ed una presentazione del lavoro in versi dello stesso Luigi Socci, una poesia ironica e dissacrante, che pratica una dissezione analitica dei tic, delle fobie, delle debolezze del nostro tempo, osservato attraverso la lente deformante della soggettività, ma una soggettività che non regala certezze, solo piccolo verità provvisorie, da costruire per l’occasione, da recitare a soggetto.
E, dopo le domande degli studenti, la lezione è terminata, non a caso, con una breve lettura di alcune poesie. Una delle quali è tratta dalla raccolta Il rovescio del dolore e la pubblichiamo qui di seguito:
Dallo spioncino
Mi lascio questi occhi che ho
per vedere le ombre all’orizzonte,
dietro una lente rimpiccolente,
di molta gente.
Da questo buco
ho visto i testimoni per esempio
di geova le donne delle scale
il messo iettatorio
dell’amministratore condominiale.
L’ex-tossico in realtà tutt’ora tossico
cui devo un set magnifico
di spugne per la casa
all’aroma di pesce
ho spiato pensando
– esce o non esce? -.
Da questo varco
nella porta ci passa una scintilla
nero pupilla.
Ma provate a pensare
a una schiena che trema familiare,
ombra tra gli zerbini
pericolante all’inizio delle scale,
che va via in una bolla di vetro
di quelle con dentro venezia o san pietro
densa di un’aria unta, senza attrito.
Appesa al corrimano
convessa, senza fretta,
noncurante della targhetta
con scritto il mio cognome che si stacca.
Souvenir deprivato
di neve e di memoria
a un palmo in linea d’aria
di distanza illusoria.
Dispersa nel viavai
per sempre come al solito
restando e un po’ viandando
senza lasciapassare senza i visti
al trotto a dirotto allo sbando
in ritardo sui tempi imprevisti.
Al riparo del chiuso
la guardo come non si deve
internato al sicuro
dalla parte dove si vede.
Ma provate a pensare
come si contrae la vista
di fronte a qualcosa che è troppo vicino
provate a pensare
alla condensa sullo spioncino.